sabato 18 febbraio 2012

La Fondazione Perini e la questione della cultura in periferia

di Antonio Iosa.
La Fondazione Carlo Perini celebra quest’ anno il 50° anniversario nella trincea della “Nuova Frontiera della cultura” dell’area metropolitana Nord di Milano. Nessuno avrebbe scommesso un soldo, nel lontano 1962, sulla nostra longevità storica nel panorama culturale milanese.

La nostra presenza non si è mai identificata con la cultura del piagnisteo o della semplice contestazione alle istituzioni, ma con l’elaborazione di progetti e proposte, studi e ricerche, attività svariate che decentrano l’eccellenza culturale nei quartieri e che valorizzano la cultura e la storia locale, anche quando gli enti locali non ne tengono in alcuna considerazione o faticano a comprendere il valore di promozione umana e sociale della nostra azione, o sono a distanze stellari del comune sentire del popolo dei quartieri.

E siamo qui presenti, con la nostra caparbietà scomoda, a svolgere il nostro dovere di presenza e di testimonianza per chiedere un cambio di indirizzo alla politica culturale milanese, non attraverso una promessa di “cambiamento del vento”, che fa piovere dall’alto un indirizzo di progettualità culturale, ma rivendicando un coinvolgimento, che rispettando la nostra autonomia, promuova con l’Ente pubblico progetti specifici d’interesse culturale, valorizzando ed armonizzando le esperienze di associazioni volontarie presenti sul territorio in tre direzioni:

  • promuovere e valorizzare dal basso le esperienze culturali presenti nei quartieri e non limitarsi a convocare esponenti della cultura borghese, in vista di spartizioni di contributi.
  • dare identità storica e prospettive di sviluppo alle comunità locali.
  • allargare l’orizzonte per riscoprire la cultura nascosta e “ i luoghi della memoria, gli itinerari dei beni storici, artistici e culturali esistenti come ville, piazze, cascine, chiese, monumenti, strade, paesaggi e ambienti naturali… che pur costellano e rendono interessante il territorio.


LA CULTURA DI ECCELLENZA ANCHE NEI QUARTIERI DI MILANO: ALLA RICERCA DI UN DIALOGO POSSIBILE

Esiste una mentalità che considera la cultura come parassitaria, non promotrice di “memoria identitaria” e non protagonista di sviluppo economico. Vorrei rispondere a due quesiti.

Il primo: esiste oggi un progetto valido per creare nuovi poli culturali nella Milano che cambia? E veramente cambiando il vento della “cultura”con la nuova maggioranza a Palazzo Marino?

Siamo alla ricerca di un confronto e di un dialogo e le nostre osservazioni polemiche vogliono essere costruttive, per dare uno stimolo a conoscere e valutare il panorama culturale cittadino sia al centro che in periferia.

Se si esamina la delibera di Giunta, al gran completo, del 30 dicembre, che ha erogato contributi straordinari al sistema culturale milanese di €. 4.162.540, risulta evidente che tale somma è stata interamente assegnata al mondo dello spettacolo e artistico, cinema e teatri, orchestre, festival e bande musicali. Solo 260.000 euro al sistema bibliotecario milanese, che ha una rete di servizio bibliotecario anche nei quartieri periferici della città.

È stata, sostanzialmente privilegiata la rete degli operatori culturali milanesi in rappresentanza della cultura borghese centralistica ed espertocratica. Sono stati negati modesti contributi a progetti minori degli enti culturali periferici, che pur svolgono un servizio di qualità fondamentale e che sono stati sfacciatamente discriminati ed esclusi dal contributo. Finalmente, anche il sovrintendente del Teatro alla Scala, Lissner, dopo l’arrivo del contributo straordinario, ha promesso che, nel 2012, sarà meno sprecone e più rigido nei bilanci.

Eppure bastavano solo centomila euro tolti al Teatro alla Scala o duemila euro tolti agli enti che hanno beneficiato di un contributo superiore a ventimila euro, per compiere un atto di doveroso riconoscimento ad almeno 20 enti culturali, che vivono ed operano fra emarginazione e silenzio sul territorio dei Quartieri di Milano. I loro progetti non sono stati presi in considerazione. Si continua a privilegiare la cultura borghese e da salotto o gli enti, che sono anche fabbriche di voti per un tipo di ideologia politica.

Non esiste una cultura di serie A per il centro storico e la borghesia più o meno illuminata e una cultura di serie B per i quartieri popolari, che necessitano d’ una progettualità decentrata della cultura dell’eccellenza dal centro in periferia o meglio nell’area metropolitana milanese.

Il secondo quesito: si può fare eccellenza culturale nei quartieri di Milano, superando la vecchia concezione urbanistica della periferia e parlando della Milano come area metropolitana europea, a scala comprensoriale, intercomunale?

La risposta al primo quesito è no! Non esiste oggi un progetto di promozione culturale di alto livello o di qualità da estendere nell’area metropolitana capace di coinvolgere la società civile e il pluralismo degli operatori culturali presenti nei quartieri. Esistono, al contraria, tanti progetti di espansione urbana, ma sono tutti contrassegnati dagli interessi economici forti dei proprietari di aree e dalle immobiliari, che rincorrono il profitto con una massiccia cementificazione sulle ex aree industriali dimesse e se ne fregano dei cittadini e dei quartieri.

La realizzazione dell’EXPO 2015 è l’esempio eclatante di quali e quanti siano gli interessi economici forti, che dominano la nostra città e prevalgono sulle attese e speranze dei poveri.

Al secondo quesito la risposta è sì! Si può fare eccellenza culturale in periferia a quattro condizioni;

1 – decentrando le eccellenze di funzioni culturali per la riqualificazione urbana del territorio, ove si stanno realizzando i grandi progetti di trasformazione urbanistica del territorio;

2 – mantenendo o recuperando quel residuo di “memoria storica” tuttora esistente nei quartieri di Milano e contrastando, in particolare, la dissennata politica di cancellazione dell’archeologia rappresentata dalla civiltà industriale e del lavoro ( ciminiere, capannoni, antichi selciati delle strade prenapoleoniche, che collegavano le vecchie 11 municipalità diventate quartieri di Milano nel 1923, musei delle vecchie produzioni industriali, parchi ambientali e passeggiate ecologiche…). Si tratta di salvaguardare testimonianze di due secoli di storia dello sviluppo economico della città (Ottocento e Novecento), con la riscoperta di itinerari e percorsi dei luoghi della memoria collettiva, ove le comunità locali dei quartieri affondano le loro radici storiche e culturali..

3 - Milano città europea: la Milano, a vocazione europea, deve rendere le periferie centri di vita culturale e l’evento internazionale dell’Expo 2015 deve mirare a dare progetti di qualità culturale per migliorare la vivibilità nei quartieri, in funzione di una città “policentrica o polifonica”. Manca una progettualità che ripensi non solo ad una mappa di servizi con standard europei, ma che elabori anche progetti e realizzi un modello di “bellezza urbana” sia sul piano architettonico e monumentale, sia sul piano artistico e ambientale. Si chiede il decentramento delle eccellenze culturali: università, istituti di ricerca, musei, teatri, sale musicali e cinematografiche multimediali, luoghi di eventi di moda ed altre iniziative aggregative per bambini, giovani, adulti in strutture culturali d’eccellenza sparse sul territorio. Le poche strutture che esistono in periferia appartengono a gruppi di interessi economici privati o a gruppi elitari del mondo scientifico, accademico o affaristico.

4 – Promuovendo una politica di sostegno economico alle realtà culturali rappresentative, che abbiano dato prova di continuità storica nello svolgimento di attività culturali per almeno di 10 anni (per evitare la proliferazioni di circoli che durano la durata di una stagione elettorale). A tali enti culturali storici presenti sul territorio, occorre assicurare un contributo certo, da parte degli Enti locali e, in particolare, dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano che stravede per il centro ed è strabico o cieco per la diffusione della cultura in periferia. Al contrario gli enti culturali storici della periferia urbana e dell’area metropolitana milanese, sono i primi ad essere penalizzati con il taglio dei contributi.

Esiste il malvezzo di dare il contributo richiesto ad assestamento di bilancio a fine anno che poi o salta, o quando lo si fa, come nel 2011, quando incombe la grande crisi economica, non si tagliano i contributi ad enti spendaccioni che percepiscono milioni di euro, anzi si danno contributi straordinari agli spreconi, mentre le realtà culturali periferiche, vengono defraudate persino delle poche migliaia di euro per portare avanti un progetto o un’iniziativa di qualità o, semplicemente, si è costretti a pagare il canone di affitto al Comune di Milano che spesso ospita nei propri spazi associazioni culturali che svolgono un’azione di supplenza nella promozione umana, sociale e culturale verso il popolo dei quartieri, espropriato dalla famelica di una cultura borghese lautamente pagata dall’ente pubblico.


LA QUESTIONE CULTURALE A MILANO: IL CENTRO PRIVILEGIATO E LA PERIFERIA PENALIZZATA

Si pone quindi il problema della cultura a Milano che renda protagonisti circoli, associazioni, enti e fondazioni culturali della società civile che vivono ed operano tra emarginazione e silenzio, non hanno voce in capitolo, non sono meritevoli di ascolto e di sostegno, tanto che gli amministratori pubblici li ignorano, o discriminano, o li strumentalizzano, occasionalmente nei momenti di raccolta del consenso elettorale.,

La cultura è ormai feudo privilegiato di ristretti gruppi d’intellettuali, di esperti, di manager, di un esercito di consulenti che imperversano e sui quali le istituzioni locali concentrano risorse, che vengono fagocitate sperperando miliardi, accumulando deficit nella consapevolezza di trovare sempre chi li ripiana.

Siamo di fronte ad un’azione di “pressing lobbistica” di intellettuali e operatori culturali prezzolati, che troviamo onnipresenti nelle Commissioni degli Enti locali, delle fondazioni bancarie o degli Istituti di Ricerca per ottenere appalti e selezionare le risorse finanziarie “pro domo loro”.

Non esiste un briciolo di sostegno economico alle rare iniziative culturali esistenti in periferia, ove gli operatori operano con il volontariato tra emarginazione e silenzio.

Esiste cioè una sorta di discriminazione o di razzismo culturale, spesso ideologico, verso le realtà che operano nei quartieri e che non hanno pari dignità rispetto agli ambienti economici, universitari, manageriali, come se la cultura fosse privilegio di tecnocrati o della borghesia salottiera con stuoli d’intellettuali addetti ai lavori o di esperti, che scialano fiumi di denaro pubblico e privato.

Questa semplice gestione dell’esistente, da parte di un “entourage burocratico ed espertocratico” costituisce il nodo della “Questione culturale” a Milano, ch’è priva di un progetto decentrato delle eccellenze per riqualificare i quartieri e per pensare al futuro dell’area metropolitana milanese.

Poiché non esiste una cultura per il centro e uno per la periferia, sono convinto che occorre far rivivere la “memoria identitaria” dei quartieri per riscoprine la storia e la tradizione, per dare coesione sociale, identità ed orgoglio ai cittadini .

Cerchiamo il confronto e il dialogo con le istituzioni locali: Comune, Provincia e Regione per stimolarli costruttivamente ad investire anche sulle esperienze culturali in periferia e scommettere sull’associazionismo e sul volontariato, anche in termini di risorse e di sostegno economico attraverso la creazione di poli culturali decentrati e di qualità.


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